-
12 Giugno 2024
Diversity & Inclusion in azienda: quando la valorizzazione delle diversità può davvero fare la differenza, allineandoci all’Europa dei diritti
A cura dell’Avv. Matteo Pegoraro (Foro di Firenze), A.Q.A Network
Un recente studio[1], portato avanti dalla società EY (Ernst & Young Global Limited), in collaborazione con FT-Longitude, ha sottolineato come nel nostro Paese appena il 6% delle realtà aziendali abbia realmente sviluppato, a oggi, una cultura inclusiva nel posto di lavoro.
Si tratta di un dato che deve far riflettere su quanta poca attenzione l’imprenditoria italiana dedichi ancora oggi ai temi della diversità e dell’inclusione delle lavoratrici e dei lavoratori, e, parimenti, su quante opportunità esistano, nel futuro più prossimo, per poter rendere il luogo di lavoro un ambiente realmente inclusivo e plurale. Un ambiente, insomma, in cui lo scambio di idee, il rispetto e la contaminazione delle individualità siano la linfa vitale per tutte le attrici e tutti gli attori sociali, generando un valore aggiunto per l’Azienda in un panorama di opportunità rimasto a oggi quasi del tutto inesplorato.
Anche se la situazione italiana in termini di Diversity & Inclusion piò essere considerata complessivamente positiva – il 44% delle lavoratrici e dei lavoratori intervistati è d’accordo che la propria azienda o organizzazione dimostri un approccio all’inclusione, e il 55% giudica “buono” l’impegno dell’azienda per la creazione e il mantenimento di un clima interno di fiducia, trasparenza e rispetto delle individualità –, non esiste ancora un approccio strategico e globale al riguardo; si pensi che solamente 2 persone dipendenti su 5 hanno dichiarato di poter essere liberamente sé stesse sul posto di lavoro in Italia.
Dalla predetta indagine, emerge che, contrariamente al resto dei Paesi europei presi in esame, ben il 47% delle lavoratrici e dei lavoratori in Italia ha subito sul proprio luogo di lavoro episodi di discriminazione. Quando si parla di sentirsi inclusi e integrati nel tessuto aziendale, va detto che esiste un vero e proprio divario tra chi è manager e chi fa parte del personale dipendente: il 72% delle e dei manager italiani ha infatti dichiarato di sentirsi accolto e poter essere sé stesso senza particolari impedimenti, contrariamente al solo 41% delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti. Ciò, inevitabilmente, si riverbera in negativo sui gruppi sociali sottorappresentati come, per esempio, le minoranze entico-culturali e quelle LGBTQI+. Ed ecco che chi contribuisce in prima linea, con mente, spirito e braccia, al concreto progresso dell’azienda, si ritrova a non sentirsi spesso ascoltato dalla datrice di lavoro (solo il 19% delle e degli italiani intervistati ha infatti dichiarato di sentirsi ascoltato e accolto, contrariamente alla media europea del 31%, dall’azienda in cui opera).
Insomma, in Italia c’è ancora tanto da fare: il più delle volte l’approccio alla Diversity & Inclusion viene ricondotto – concetto assai limitante – al solo tema dell’eguaglianza di genere, certamente fondamentale ma non sufficiente a considerare tutte le sempre più attuali ed emergenti differenziazioni sociali: dalla provenienza geografica all’estrazione sociale, dall’identità di genere all’orientamento sessuale, dal credo religioso alle abilità e capacità psico-fisiche di ognuna e ognuno, per non parlare della propria storia individuale.
L’Italia, come sul piano – ahinoi – dei diritti fondamentali, risulta in ritardo rispetto alla media europea anche nell’applicazione dei principi di diversity, equity e inclusion, sin dalla iniziale fase di selezione del personale: appena il 20% delle e dei manager ha infatti dichiarato di aver erogato formazione sul tema ai responsabili HR e solo il 23% (contro il 33% degli altri Stati UE) ha adattato i format di primo colloquio in azienda in modo tale da soddisfare le esigenze delle candidate e dei candidati con disabilità; quanto all’inclusione LGBTQIA+, appena il 29% delle aziende italiane ha optato per adottare misure “elementari” d’inclusione interna, mentre nulla pare sia ancora stato fatto per le lavoratrici e i lavoratori stranieri, o per coloro che appartengono a un credo religioso diverso da quello cattolico o, ancora, per chi abbia una particolare estrazione socio-economica.
Qual è l’antidoto a tali mancanze? Certamente dedicare risorse e attenzioni maggiori e mirate nel rendere più penetranti nella compagine aziendale i principi di diversity, equity e inclusion già dalla fase di selezione e colloquio, oltre che nella fase meramente gestionale del rapporto di lavoro: se infatti il sistema HR si conformasse sin dalle sue prime fasi ai principi di DE&I, potrebbero svolgersi colloqui, nel rispetto della riservatezza individuale, orientati a manifestare l’inclusione e l’accoglienza verso tutte le diversità, esprimendo così un’attenzione particolare anche alle esigenze soggettive eventualmente palesate dalla persona da assumere, che possono concernere l’età, le abilità così come la cultura e la formazione individuale, ma anche, come detto sopra, l’appartenenza etnica, l’orientamento sessuale, l’identità di genere, il credo religioso, eccetera.
Se, concludendo, è vero, secondo lo studio di EY e FT-Longitude, che il 19% delle e dei manager del nostro Paese affermano che il principale scoglio al miglioramento della Diversity & Inclusion è rappresentato, oltre che da alcune resistenze culturali interne, dai vincoli di bilancio, va precisato che l’Italia è tra i Paesi europei con la spesa più bassa per quanto riguarda il DE&I, con 3,99 milioni di euro contro i 5,75 della Spagna, in testa per spesa media annua per il rispetto di tali principi.
E, d’altronde, solo incrementando le risorse da destinare a questa materia si può arrivare a migliorare sensibilmente l’ambiente lavorativo interno, arrivando a massimizzare il rendimento aziendale e favorendo al contempo la sensibile diminuzione dei conflitti e delle disparità interne.
Contattate i Consulenti A.Q.A Network per maggiori approfondimenti.
[1] Si tratta dell’EY European DEI Index, un’analisi, risalente ad aprile 2024, sul tema della diversità e inclusione realizzata da EY in collaborazione con FT-Longitude, che ha raccolto l’opinione di 900 manager (dirigenti e C-suite) e 900 dipendenti provenienti da 9 Paesi europei (Austria, Bruxelles, Paesi Bassi, Svizzera, Portogallo, Spagna, Francia, Germania e la nostra Italia).
- Categories:
- Diversity & Inclusion,
- Giurisprudenza,
- Imprese,
- Strumenti
Leave a comment
Comments(0)