Gli stereotipi ben nascosti nelle pieghe delle nostre relazioni personali e professionali ; quanto rallentano la crescita delle organizzazioni?

  • 14 Maggio 2018

    Gli stereotipi ben nascosti nelle pieghe delle nostre relazioni personali e professionali ; quanto rallentano la crescita delle organizzazioni?

    By Laura Chiodi, partner A.Q.A. Network

    AVVOCATA O AVVOCATO? COMMESSA O COMMESSO?  BENZINAIO E BENZINAIA? INGEGNERE O INGEGNERA? OPERAIO O OPERAIA? PRESIDENTE O PRESIDENTA?

    Stereotipo: qualsiasi opinione rigidamente precostituita e generalizzata, cioè non acquisita sulla base di un’esperienza diretta e che prescinde dalla valutazione dei singoli casi, su persone o gruppi sociali.

    La lingua è un indicatore molto utile per osservare lo sviluppo di una società nei suoi vari aspetti.

    Invito chi mi legge ad una profonda riflessione su come alcuni stereotipi di fatto possano arrivare a considerare diversamente un uomo o una donna che esercitino la medesima professione, solitamente di livello medio-alto(ad es. ruoli istituzionali o prestigiosi)

    Lascio parlare due prestigiose e riconosciute Istituzioni: Treccani e l’Accademia della Crusca.

    A voi trovare gli stereotipi nascosti fra le pieghe.

    Sul sito Treccani alla  domanda : “Quale è il femminile di avvocato”?

    Questa la risposta:“La formazione del femminile dei nomi di professione è uno dei settori della grammatica in cui, sulle diverse forme disponibili, più forte fanno sentire il loro peso ragioni di carattere extralinguistico, in particolare quelle legate ai cambiamenti, più o meno recenti, avvenuti nella vita politica, culturale o sociale del nostro paese. Il sostantivo maschile avvocato dispone di due forme femminili: avvocata e avvocatessa. La prima è di uso non comune, e per lo più ironico o scherzoso, con riferimento a donna che eserciti l’avvocatura, mentre è esclusiva, solo al singolare, come attributo della Madonna o di sante, con il significato di protettrice, interceditrice. La seconda forma, avvocatessa, è, invece, largamente usata per indicare, senza particolari connotazioni di registro, sia la donna che eserciti l’avvocatura sia la moglie dell’avvocato; può acquistare, diversamente, una sfumatura scherzosa quando sia riferita a donna dalla parlantina sciolta, risoluta nel sostenere le ragioni proprie o altrui. Si deve, infine, ricordare che molto frequente nell’uso giuridico è la forma maschile in -o, soprattutto in alcune locuzioni politematiche di forte coesione (avvocato fiscale, avvocato d’ufficio…), anche quando ci si riferisca a donna, come accade in tutti quei casi in cui si voglia sottolineare la neutralità della professione rispetto al sesso di chi la esercita.”

    Tratto dal sito dell’Accademia della Crusca:”Infermiera sì, ingegnera no?”

    Qual è la ragione di questo atteggiamento linguistico? Le risposte più frequenti adducono l’incertezza di fronte all’uso di forme femminili nuove rispetto a quelle tradizionali maschili (è il caso di ingegnera), la presunta bruttezza delle nuove forme (ministra proprio non piace!), o la convinzione che la forma maschile possa essere usata tranquillamente anche in riferimento alle donne. Ma non è vero, Perché maestrainfermieramodellacuocanuotatrice, ecc. non suscitano alcuna obiezione: anzi, nessuno definirebbe mai Federica Pellegrini nuotatore. Le resistenze all’uso del genere grammaticale femminile per molti titoli professionali o ruoli istituzionali ricoperti da donne sembrano poggiare su ragioni di tipo linguistico, ma in realtà sono, celatamente, di tipo culturale; mentre le ragioni di chi lo sostiene sono apertamente culturali e, al tempo stesso, fondatamente linguistiche.

    I meccanismi di assegnazione e di accordo di genere giocano un ruolo importante nello scambio comunicativo e meriterebbero di essere conosciuti anche al di fuori della cerchia accademica per fugare la convinzione, diffusa, che usare certe forme femminili rappresenti solo una moda. Molti ricorderanno il recente diverbio sorto in una riunione in Prefettura (a Napoli) perché un cittadino chiamava signora (essendo incerto sul termine prefetta!), invece che protocollarmente prefetto, la titolare di questa carica in una provincia vicina.

    Un uso più consapevole della lingua contribuisce a una più adeguata rappresentazione pubblica del ruolo della donna nella società, a una sua effettiva presenza nella cittadinanza e a realizzare quel salto di qualità nel modo di vedere la donna che anche la politica chiede oggi alla società italiana. È indispensabile che alle donne sia riconosciuto pienamente il loro ruolo perché possano così far parte a pieno titolo del mondo lavorativo e partecipare ai processi decisionali del paese. E il linguaggio è uno strumento indispensabile per attuare questo processo: quindi, perché tanta resistenza a usarlo in modo più rispettoso e funzionale a valorizzare la soggettività femminile?

    http://www.accademiadellacrusca.it/it/tema-del-mese/infermiera-s-ingegnera

    Nel network A.Q.A. ci sono validi professionisti con competenze specifiche per supportare gli HR Manager e le figure apicali delle Aziende con progetti formativi di Educazione alla differenza, in cui gli stereotipi vengono portati alla consapevolezza e affrontati così da promuovere un clima di inclusione e di valorizzazione delle diversità.

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