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28 Gennaio 2024
Le chiavi per aprire la porta al cambiamento… e come superarne la resistenza
By Fabio Rossi, Business Partner A.Q.A Network
La resistenza al cambiamento è uno dei temi caldi delle organizzazioni.
Per evolversi bisogna cambiare altrimenti è il mercato o il mondo intero che ci mettono fuori gioco.
Quando si parla di cambiamento nelle organizzazioni inevitabilmente si devono fare i conti con la resistenza al cambiamento.
La resistenza al cambiamento non è un fenomeno esclusivo delle organizzazioni, tutte le novità producono una resistenza in un contesto sociale.
Un quotidiano modifica il proprio formato grafico editoriale e perde lettori, viene fatto uno studio urbanistico sulla viabilità che permetterebbe di migliorare il traffico e l’inquinamento e immediatamente sorgono comitati cittadini, il passaggio dall’ora solare all’ora legale produce ogni anno le solite lamentele sui disagi e sull’intenzione di abolirla.
Una caratteristica tipica della resistenza al cambiamento, è che si scatena indipendentemente dal cambiamento proposto, anzi, nonostante si riconosca a livello razionale che la soluzione è migliorativa, si tende a contrastarla.
Il cambiamento nelle organizzazioni complesse, se non è uniforme e armonico crea tensioni che possono rompere equilibri o portare a conflitti interni.
Capire la resistenza al cambiamento è come avere la chiave, la password segreta per gestire gli eventi.
Ipotesi di partenza
Prima di cominciare bisogna fare una premessa o, meglio, enunciare qualche ipotesi di partenza.
La prima ipotesi che facciamo è che il cambiamento proposto sia abbastanza ragionevole da meritare almeno un approfondimento. Non si può accettare supinamente qualsiasi proposta di cambiamento, è sensato analizzare ogni proposta alla luce della ragione, provare, sperimentare, valutare se la proposta può funzionare.
La seconda ipotesi è che stiamo descrivendo il fenomeno di onesta e genuina resistenza al cambiamento e non di una operazione mirata a danneggiare la controparte che l’ha proposta.
Talvolta la vera causa della resistenza al cambiamento è la deliberata volontà di danneggiare un avversario o di curare i propri interessi indipendentemente dai vantaggi che il cambiamento potrebbe portare alla collettività. Questa, più che una resistenza al cambiamento dovrebbe essere classificata come una forma di disonestà intellettuale o di ipocrisia.
I motivi della resistenza al cambiamento possono essere tanti (in fondo all’articolo trovate un elenco di 16 motivi) ma la cosa interessante è che alla fine tutti questi casi sono riconducibili a due sole cause ed entrambe queste cause vengono dal profondo, vediamo quali sono.
La prima causa: l’omeostasi
La prima causa di resistenza al cambiamento è associata al fenomeno bio-fisiologico dell’omeostasi.
L’omeostasi è un processo attraverso il quale gli esseri viventi mantengono il proprio ambiente stabile e costante nonostante le variazioni nell’ambiente esterno. Ad esempio, il nostro organismo è strutturato per farci mantenere costante la nostra temperatura corporea o il PH del sangue; qualsiasi fenomeno che tende ad alterare questi equilibri viene contrastato dall’organismo fino a riportarlo nello stato originario.
Ebbene, una parte della resistenza al cambiamento non è altro che un effetto macroscopico di questo fenomeno che si manifesta in tutti gli organismi viventi, un po’ come la temperatura è l’effetto macroscopico della vibrazione degli atomi di un oggetto.
L’omeostasi spiega buona parte dei fenomeni di resistenza al cambiamento.
Ad esempio, l’omeostasi, spiega perché, quando ci sono nuove leggi o nuovi adeguamenti ci si riduce sempre ad agire negli ultimi giorni. L’omeostasi spiega perché certi cambiamenti non durano per molto tempo.
Se un cambiamento non si stabilizza in un nuovo punto di equilibrio, una nuova abitudine, inevitabilmente il risultato che si ottiene è che dopo un certo tempo, si ritorna nel punto di partenza.
L’omeostasi è la “pigrizia” degli organismi viventi che evitano di consumare l’energia che il cambiamento richiederebbe rispetto all’energia necessaria per riportarsi nello stato di equilibrio. In questo modo, quindi, investono energia nel cercare di mantenere le cose come stanno anche se questo talvolta richiede fatica. Questo è il motivo per cui il cambiamento, anche se positivo, non lo si vuole affrontare se non si è costretti.
Tutti noi sappiamo che certe abitudini alimentari o certi cibi sono dannosi per la nostra salute però continuiamo a mantenere queste abitudini o mangiare certi cibi.
L’omeostasi nelle organizzazioni spiega in certi casi il fenomeno del “falso collaborativo”. Il Falso collaborativo (o collaborativa) è un soggetto che riconosce razionalmente, a parole, il vantaggio che si avrebbe con il cambiamento, è favorevole al cambiamento, però è inerte, non collabora proattivamente e se gli è possibile continua ad agire “come si è sempre fatto”, risparmia energie e le utilizza per mantenere le cose come stanno.
Ricordiamo sempre le ipotesi di partenza, stiamo considerando soggetti che agiscono con onestà intellettuale (altrimenti sarebbero dei doppiogiochisti) ma, nonostante ciò, non si danno da fare.
La seconda causa
L’omeostasi non spiega tutti i fenomeni collegati al cambiamento. In particolare, non spiega l’aggressività, la rabbia con cui alcuni soggetti si oppongono al cambiamento.
Ed infatti, per comprendere questo diverso atteggiamento verso il nuovo bisogna chiamare in causa la paura.
La paura è anch’essa una reazione bio-fisiologica di un organismo vivente che si sente minacciato e reagisce attaccando la possibile minaccia.
In tutti i casi in cui il cambiamento è percepito come la perdita di qualcosa subentra la paura e con essa la resistenza attiva e combattiva verso il nuovo.
L’insicurezza, l’immaturità e il non sentirsi all’altezza di una determinata situazione provoca uno stress che sfocia in una reazione aggressiva nei confronti della novità e del cambiamento.
La paura di sentirsi deboli, incerti, incapaci o di perdere l’immagine di sé produce una reazione ostile.
L’aggressività può anche essere “passiva”. Ad esempio, se sono immaturo, incapace di affrontare il nuovo, come i bambini, sarò tendenzialmente pauroso nei confronti dell’ignoto e cercherò protezione nella quotidianità, nei rituali, negli oggetti e nelle persone che mi fanno sentire al sicuro.
Chi è in grado di affrontare positivamente il cambiamento?
Chi è energico, chi è curioso nei confronti del nuovo e al tempo stesso si percepisce all’altezza di affrontare le novità e superare le difficoltà.
Come vincere la resistenza?
La maggior parte degli studi sulla resistenza al cambiamento insistono molto sull’importanza della comunicazione efficace, l’uso dell’intelligenza emotiva, la partecipazione e l’ascolto attivo ma non è l’unica chiave per risolvere il problema.
Abbiamo visto che due sono i motivi per cui si resiste al cambiamento: la pigrizia e la paura.
Pertanto, come si vince la resistenza al cambiamento?
In due modi diversi.
Se la causa principale è l’omeostasi, cioè la pigrizia, si può contrastare agendo con energia.
La pigrizia può essere “forzata” perché alla fine, se ci sono dei vantaggi, saprà riconoscere che il cambiamento è stato positivo.
La paura invece non si può forzare perché si radicalizza e diventa una resistenza attiva. La paura si vince con l’autostima, la capacità di percepirsi più forti, più resistenti, più energici, insomma, qualcosa in più del cambiamento; perciò, il cambiamento non può essere una minaccia.
Per contrastare la resistenza al cambiamento dovuta alla paura, bisogna creare un contesto nel quale le persone possano dimostrare a loro stesse di potercela fare, di essere all’altezza e che non bisogna aver paura di affrontare le novità che sono presenti all’orizzonte.
Quindi in pratica, la pigrizia si può combattere con la paura (delle conseguenze) e la paura con il coraggio e l’auto-efficacia.
Tante motivazioni due cause primarie
Come promesso, qui ci sono alcune cause apparenti della resistenza al cambiamento. Come si può vedere tutte queste cause sono riconducibili ad una delle due cause primarie viste prima.
- Incertezza verso l’ignoto: I dipendenti possono temere gli effetti del cambiamento sul proprio lavoro. Questa paura è spesso radicata nell’incertezza sulle proprie competenze e sul futuro. (Paura)
- Mancanza di fiducia: Se i dipendenti non si fidano della leadership o dubitano delle intenzioni dietro il cambiamento, è probabile che resistano. (Paura)
- Percezione negativa del cambiamento: Alcuni potrebbero vedere il cambiamento come inutile o dannoso, in ogni caso come una minaccia, soprattutto se non hanno percepito benefici da cambiamenti precedenti. (Paura)
- Mancanza di coinvolgimento: La resistenza può nascere quando i dipendenti si sentono esclusi dal processo decisionale o non adeguatamente informati. Anche questa è paura: paura di non contare, paura di non essere protagonisti (Paura)
- Soddisfazione dello status quo: I lavoratori possono essere soddisfatti della situazione attuale e vedono ogni cambiamento come un disturbo indesiderato. (Omeostasi)
- Timore di perdita di controllo: Il cambiamento può essere percepito come una minaccia all’autonomia o al controllo sul proprio ambiente di lavoro. (Paura)
- Impatto sulle relazioni sociali: I cambiamenti organizzativi possono alterare le dinamiche di gruppo e le relazioni tra colleghi, causando disconforto. Anche questa è paura delle conseguenze (Paura)
- Scarse abilità di adattamento: Alcuni dipendenti possono avere difficoltà ad adattarsi a nuove situazioni o nuove tecnologie, aumentando la loro resistenza. (Omeostasi)
- Stress e sovraccarico: Il cambiamento può essere visto come un ulteriore carico di lavoro o una fonte di stress, soprattutto se non è ben gestito. Questa è paura di non aver abbastanza energie per seguire il cambiamento e quindi si percepisce il cambiamento come la minaccia di rimanere indietro (Paura)
- Inadeguatezza delle ricompense: Se i dipendenti percepiscono che il cambiamento non porta a benefici tangibili o ricompense, possono resistere. La scelta della strada più conveniente è legata al fenomeno dell’omeostasi (Omeostasi)
- Comunicazione inefficace: Una comunicazione scarsa o ambigua sul cambiamento può generare confusione e resistenza. La pigrizia di comprendere, di andare oltre alla comunicazione è dovuta all’omeostasi (Omeostasi)
- Storie precedenti di cambiamenti falliti: Le esperienze passate di cambiamenti mal gestiti o falliti possono influenzare negativamente la percezione del nuovo cambiamento. Anche se può sembrare strano, questa non è paura, ma pigrizia nel non voler capire il nuovo cambiamento (omeostasi)
- Differenze culturali: Le differenze nella cultura organizzativa e nelle norme possono causare resistenza, specialmente in organizzazioni diversificate o globali. Qui viene percepita la minaccia (paura) oppure può essere dovuta alla pigrizia di non volersi confrontare con culture nuove (Omeostasi)
- Sfida alle competenze esistenti: Il cambiamento può minacciare la rilevanza delle competenze e dell’esperienza attuali dei dipendenti. (Paura)
- Effetti sulla carriera: Preoccupazioni riguardo l’impatto del cambiamento sulle prospettive di carriera possono creare resistenza. (Paura)
- Presunzione di essere già “al meglio”: spesso la resistenza è data dalla presunzione di essere già al massimo della prestazione. Anche l’arroganza di fatto nasconde la paura di apparire fragili e perdere lo status acquisito. (Paura)
Quello che facciamo nei percorsi di change management di A.Q.A Network, è creare condizioni per le quali le persone prendano confidenza con il nuovo e comprendano di essere all’altezza di superarne le difficoltà.
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